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AGENTE O PROCACCIATORE D’AFFARI ?
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A cura dell’Avv. Lorenzo Bianchi
Colgo questa nuova
occasione per chiarire una questione che spesso mi viene sottoposta
dagli Associati negli incontri settimanali.
In sostanza vorrei risolvere, o meglio chiarire, un problema pratico di
antipatica natura, frequentemente creato dalle ditte mandanti.
Molto spesso le Vostre controparti si (e Vi) nascondono dietro la figura
atipica del “procacciamento d’affari” per evitare il pagamento di
provvigioni, anche indirette, dei contributi previdenziali e delle
indennità di fine rapporto (preavviso, FIRR e clientela o l’indennizzo
di cui all’art. 1751 c.c. per chi si domandasse quali).
Mi spiego meglio.
E’ sufficiente che una azienda non rediga e sottoscriva il contratto con
il soggetto incaricato di promuovere le vendite, per consentire alla
stessa di qualificare la collaborazione come procacciamento d’affari ed
evitare così di sostenere ulteriori “spese”.
Ed infatti il procacciatore d’affari non ha diritto né a provvigioni
indirette né alle indennità di fine rapporto, in quanto questi sono
diritti esclusivi del rapporto di agenzia.
Per sommi principi del nostro ordinamento, è comunque irrilevante, ai
fini dell’indagine circa la figura d’appartenenza e dell’individuazione
della disciplina giuridica applicabile, il nomen juris attribuito
al rapporto dalle parti (rectius dal mandante), dovendosi invece
analizzare i caratteri della collaborazione (e dunque scoprire se si è
agenti – con tutti i diritti su evidenziati – oppure procacciatori).
Bisogna però fare un passo indietro ed illustrare la differenza tra
agenzia e procacciamento.
E’ agente di commercio chi è incaricato stabilmente, da una o più
ditte, di promuovere la conclusione di contratti in una determinata zona
(vedi art. 1 Accordo Economico Collettivo 9.6.1988, anche sul sito
www.fnaarcroma.it) .
Il procacciatore d’affari è invece un collaboratore del preponente che
svolge, in via del tutto occasionale ed in assenza di qualunque
rapporto stabile, una attività di promozione contrattuale non
riferita ad un preciso ambito territoriale (per tutte Cass. sentt.
5849/83 e 7072/82).
La figura del procacciatore presenta dunque notevoli affinità con
l’agente, in quanto è un collaboratore che, agendo nell’interesse
esclusivo del mandante, promuove la conclusione di contratti. Non solo;
l’autonomia organizzativa, l’assunzione del rischio ed il diritto al
compenso (provvigionale) sono elementi comuni ai due collaboratori
dell’azienda.
La fondamentale differenza tra le due figure però, oltre che per la
sottolineatura sopra riportata, è di facile intuizione.
Nell’attività del procacciatore è assente il carattere della stabilità:
la sua opera è infatti puramente occasionale.
Dottrina e giurisprudenza ci hanno inoltre offerto altri elementi per
poter validamente operare la distinzione.
Il procacciatore d’affari non ha alcun diritto di esclusiva, non ha
alcun obbligo di fornire al preponente informazioni riguardanti le
condizioni di mercato, né gli è affidata una zona determinata.
Dunque, svolta l’indagine e centrati ed analizzati in concreto i
superiori elementi, è possibile individuare l’appartenenza ad una
determinata figura d’intermediario e conseguentemente apportare i
“rimedi giuridici” del caso.
Pertanto, tornando “all’aspetto materiale” della questione, anche
qualora non vi sia tra le parti alcun contratto o vi sia un contratto di
procacciamento – ed invece il collaboratore svolga stabilmente
l’attività di promozione delle vendite – la sua opera rientra nella
figura dell’agenzia di commercio, regolata direttamente dagli artt. 1742
c.c. e seguenti e dunque con tutti i diritti ed i doveri ivi
disciplinati (e spesso con un “gradito aggravio di spese” a carico della
preponente).
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