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INDENNITA’ DI FINE
RAPPORTO DI AGENZIA NELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA
A cura dell’Avv. Lorenzo Bianchi
Vista la diversità di funzione, tratterò
distintamente l’indennità per la cessazione del rapporto (che ha natura
risarcitoria del danno subito dall’agente a seguito della cessazione del
rapporto e di pagamento di un corrispettivo per l’incremento
patrimoniale apportato all’azienda) dall’indennità sostitutiva del
preavviso (che ha natura risarcitoria preventiva ed automatica del danno
subito dalla parte che ha subito il recesso senza preavviso).
A) Indennità per la cessazione del rapporto.
Il nuovo testo dell’art. 1751 c.c. stabilisce che all’atto della
cessazione del rapporto di agenzia il preponente è tenuto a
corrispondere all’agente un’indennità se ricorrano le seguenti
condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti o abbia sensibilmente
sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva
ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il
pagamento dell’indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze
del caso, in particolare delle provvigioni che l’agnete perde. L’importo
dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad una indennità
annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni
riscosse dall’agente negli ultimi 5 anni e, se il contratto risale a
meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione.
Ricordo, brevissimamente, che prima della Legge 303/91 (che ha
"parzialmente" attuato la Dir. 86/653 CEE), l’art. 1751 c.c. prevedeva a
carico del preponente il pagamento, in ipotesi di disdetta del mandato
all’agente, di una indennità per lo scioglimento del contratto "... da
determinarsi nella misura stabilita dagli AA.EE.CC., dagli usi o, in
mancanza, dal Giudice secondo equità".
Sappiamo che gli AA.EE.CC. del 1992, nell’intento di migliorare la
disciplina del fine rapporto - alla luce della "temuta" innovazione
comunitaria che ha prodotto il nuovo testo dell’art. 1751 c.c., sia
sotto il profilo delle condizioni di spettanza degli indennizzi sia
sotto l’altro profilo di determinazione degli indennizzi stessi (si
veda, ad esempio, la dichiarazione a verbale dell’AEC del
27.11.1992) attribuiscono all’agente il diritto di ottenere l’indennità
per lo scioglimento del contratto (I° punto)
e l’indennità suppletiva di clientela (II°
punto); la disciplina contenuta negli AA.EE.CC. del 1992 "...
sostituisce quella contenuta negli artt. 10, 11, 12 e 14 degli AA.EE.CC.
del 1988".
Se confrontiamo i due gruppi di norme collettive, cioè quelle del 1992
con quelle del 1988, notiamo che la differenza, sotto il solo profilo di
determinazione degli indennizzi (risultando le condizioni di esigibilità
inalterate), è sostanzialmente inesistente.
Quale è stato, a mio modestissimo parere, l’errore della contrattazione
collettiva anche in considerazione del nuovo art. 1751 c.c. ?
Le parti, dopo aver chiarito che "... le disposizioni collettive non
troveranno più applicazione" in materia di risoluzione contrattuale,
"... ritenuta l’opportunità, per dare piena ed esaustiva attuazione
al nuovo art. 1751 c.c., di individuare modalità e criteri applicativi
dello stesso" (che peraltro non necessita di alcuna attuazione),
ripropongono la disciplina contrattuale precedentemente vigente.
Se le norme precedenti, per espressa dichiarazione delle stesse parti
contraenti (v. punti 3 e 4 delle premesse degli AAEECC) erano in
contrasto con la nuova disciplina (per essere più chiaro, col nuovo art.
1751 c.c.), non si comprende come possano disposizioni successive di
identico contenuto essere invece in armonia con le nuove norme
codicistiche (come abilmente evidenziato dal Toffoletto).
Ed allora non v’è neppure la necessità di domandarsi che cosa abbiano di
migliorativo gli AA.EE.CC. del 1992 rispetto ai precedenti !
Proviamo ad interpretare cosa è accaduto.
Probabilmente in sede di contrattazione si è cercato di considerare 2
elementi: apporto di clientela ed equità, che però negli
Accordi di fatto sono stati disciplinati separatamente (FIRR e
Clientela), mentre nella direttiva CEE essi sono parte di un unico
concetto.
Invero: 1) si è tentato di far coincidere l’apporto di clientela con
l’indennità clientela dei precedenti AAEECC; ma in quanto percentuale
sulle provvigioni già liquidate detto indennizzo non corrisponde al
concetto di compenso per l’effettivo apporto di clientela; esso sembra
avere figura di riconoscimento per anzianità di servizio più che quella
(che per sua natura le spetta) di compenso per i vantaggi procurati;
2) si è tentato di far coincidere l’equità con il trattamento Enasarco
(o FIRR) esistente, concedendolo a tutti gli agenti nella stessa misura
percentuale, mentre il concetto di equità non può essere che una
concessione con criterio ad personam ed a posteriori.
V’è poi un problema di fondo: alla contrattazione collettiva è sfuggito
che: 1) la legge è inderogabile; 2) che l’art. 1751 c.c. non ha bisogno
di essere attuato 3) in caso di controversia, sarà l’Autorità
Giudiziaria a dover disciplinare il fine rapporto agenziale e a dover
determinare l’entità dell’indennizzo.
Credo che l’introduzione della nuova disciplina comunitaria avrebbe
dovuto spingere le parti imprenditoriali e sindacali a istituire criteri
di calcolo degli indennizzi sostanzialmente più alti rispetto ai
precedenti o comunque più vicini al limite massimo stabilito dall’art.
1751 c.c.; in questo caso gli AAEECC sarebbero risultati mediamente più
vantaggiosi per tutti gli agenti. Non ci vuole un esperto in matematica
per scoprire che 90 volte su 100 è economicamente più favorevole il
criterio di calcolo comunitario.
Come più volte, da più parti, sostenuto, gli AAEECC riconoscono un
trattamento minimo "a tutti", non tenendo conto del principio del
merit-system di cui alle disposizioni comunitarie.
Si potrebbe obiettare: almeno qualcosa l’agente porta a casa, in quanto
gli AAEECC non prevedono alcuna rigida condizione a differenza dell’art.
1751 c.c..
Su questo punto v’è da fare una breve riflessione.
Personalmente non credo che esistano al mondo agenti o rappresentanti di
commercio che, sin dall’inizio dello svolgimento della loro attività,
non si adoperino con tutte le loro forze per ottenere risultati, in
termini di fatturato e di clienti, importanti e prestigiosi. Il più
delle volte, se questi risultati non arrivano, il problema è diverso e
non è costituito dall’inefficienza dell’agente o dalla sua scarsa
professionalità: molto spesso si realizzano dei bassi fatturati per
condizioni di mercato, per scarsa competitività del prodotto da
promuovere, per il prezzo imposto dalla mandante che non convince la
clientela ad acquistare, addiruttura per negligenza della stessa
preponente la quale invia la merce in ritardo, o non la invia affatto, o
la invia solo in parte, o la invia viziata o invia merce differente da
quella ordinata.
Tutto questo si riflette, con conseguenze dannosissime, sull’agente; ed
il danno è triplo: 1) l’agente perde il cliente (unica vera ricchezza
dell’agente); 2) le provvigioni non maturano non ostante l’attività di
promozione sia stata espletata; 3) al termine del rapporto, per colpe
altrui, non si può ottenere un congruo indennizzo per la cessazione del
contratto.
Ecco allora che, in queste ipotesi, le organizzazioni sindacali,
producendo gli AAEECC del 1992, hanno opportunamente svolto il loro
compito di tutela della categoria; tali contratti, però, non possono e
non devono porsi in contrasto con le disposizioni migliorative di cui
all’art. 1751 c.c., ma devono soccorrere l’agente quando la norma
codicistica non possa ricompensare l’agente stesso dei meriti ugualmente
acquisiti sul campo.
Dobbiamo anche comprendere le enormi difficoltà incontrate dai
sindacati, in sede di stipulazione, di fronte ad una norma mal recepita
e comunque di contenuto rigido e profondamente innovativo e comunque di
fronte ad una controparte di notevole forza (Confcommercio e
Confindustria).
L’agente è oggi un libero professionista, non più un lavoratore
para-subordinato: questo è il concetto delle disposizioni comunitarie !
* * * * *
In virtù di quanto appena affermato, gli AAEECC dovrebbero ritenersi
inefficaci perchè in contrasto con l’art. 1751 c.c. e con l’art. 17 n. 2
della Dir. CEE. Tale inefficacia deriva anche direttamente dall’art. 7
delle disposizioni sulla legge in generale (oltre che caso per caso dal
6° comma dell’art. 1751 c.c.), in base al
quale le norme corporative non possono derogare alle disposizioni
imperative delle leggi e, pertanto, alle disposizioni del 1751 c.c..
Esse rimangono valide per tutti i casi in cui prevedano disposizioni più
favorevoli all’agente.
Non ostante tutte le quotidiane difficoltà, anche qualora l’agente abbia
procurato nuovi clienti, abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i
clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi
dagli affari con tali clienti, si vuole negare all’agente stesso la
possibilità di ottenere un trattamento di fine rapporto che la legge
comunitaria gli attribuisce già dal 1986.
La disciplina degli Accordi Collettivi del 1992 deve ritenersi, in
questo caso, inapplicabile in quanto deteriore.
Se si ritenesse corretta l’applicazione, al caso appena accennato, degli
Accordi Economici del 1992 non sarebbe soddisfatto il criterio
meritocratico di cui alla Dir. 86/653 CEE e non verrebbero adeguatamente
ricompensati gli effettivi sforzi dell’agente. Infatti il trattamento
Enasarco e l’indennità di clientela ammontano, quasi sempre, ad importi
estremamente ridotti che prescindono dall’effettivo apporto
incrementativo dell’agente e quindi, se applicati creerebbero una
situazione di tutto vantaggio per il preponente e di tutto svantaggio
per l’agente (che, com’è noto, è ciò che la ratio posta alla base della
Direttiva CEE tende ad evitare).
Nell’ipotesi sopra citata l’art. 1751 c.c. costituisce quel trattamento
di maggior favore che è equo riconoscere ed applicare.
Se è vero infatti che la disciplina della contrattazione collettiva può
esser più favorevole per l’agente in quanto assicura sempre e
comunque un indennizzo per l’incremento di clientela (anche se esso
non si è verificato), è altresì conforme a giustizia analizzare ogni
singolo caso e dunque premiare, come dispone l’art. 1751 c.c., chi ha
lavorato seriamente raggiungendo risultati importanti per il preponente.
L’agente solerte e professionalmente valido è penalizzato
dall’applicazione dei criteri ugualitari e standardizzati di cui alla
contrattazione collettiva.
* * * * *
Il problema circa l’applicabilità dell’art. 1751 c.c. inizia, in
giurisprudenza, con la celeberrima, e fortunatamente oramai superata,
sentenza del Pretore del Lavoro di Civita Castellana (VT)
dell’1.12.1994. In questa sentenza il magistrato definisce
l’indennizzo ex art. 1751 c.c. "... praticamente inapplicabile"
per 2 ordini di motivi:
1) gli AAEECC risultano sempre più favorevoli, non individuando alcuna
condizione particolarmente onerosa a differenza dell’art. 1751 c.c.;
2) l’indennità non è esattamente quantificabile in quanto la norma fissa
solo il tetto massimo di determinazione e non anche il limite minimo.
Che l’art. 1751 c.c. sia mal formulato non v’è dubbio, ma il Giudice di
Civita Castellana sicuramente non ha compreso la ratio della Dir.
86/653 CEE.
A mio modesto parere il Giudice è incorso nell’errore di analizzare in
astratto il fine rapporto di agenzia, senza studiare il singolo caso ed
applicare la legge alla fattispecie presentatagli.
Egli non era libero di interpretre a suo piacimento la norma bensì
l’avrebbe dovuta interpretare nel contesto comunitario. Il problema
della determinazione, poi, deve sorgere solo dopo aver verificato la
ricorrenza delle condizioni.
Non può essere condivisa neppure la teoria secondo la quale gli AAEECC
sarebbero più favorevoli rispetto all’art. 1751 c.c. in quanto
riconoscerebbero almeno "un poco a tutti".
Dopo un inizio travagliato della sua avventura, il nuovo art. 1751 c.c.,
grazie anche a tutti gli agenti e rappresentanti di commercio che hanno
lottato e che lottano affinchè quelle poche tutele legislative che gli
appartengono siano riconosciute ed applicate, in questi ultimi tempi
sembra trovare terreno fertile sul quale poggiare radici sicure.
1) La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5795 del 1994,
ha affermato il fondamentale principio di diritto secondo il quale le
indennità di cui agli artt. 1750 e 1751 c.c. "... hanno
carattere inderogabile e, come tali, non possono essere escluse da
contrari accordi collettivi ed individuali".
Sulla base di questo principio si formeranno altre pronuncie
giurisprudenziali favorevoli al riconoscimento dell’indennizzo ex art.
1751 c.c..
2) Sentenza estremamente interessante e che merita di essere
analizzata è quella del Pretore di Milano del 17.10.1996.
Ritenute incompatibili, per diversità di struttura e di ratio, l’art.
1751 e le norme collettive, il Giudice di Milano ha opportunamente
rilevato che gli AAEECC non configurano un trattamento di miglior favore
per gli agenti; "il giudizio di miglior favore, per costante
giurisprudenza, deve essere formulato in concreto, con riguardo
ad uno specifico rapporto ed a una determinata situazione soggettiva;
deve allora osservarsi" prosegue il Pretore "che può essere, anzi
è certo che per un agente incapace il trattamento di cui agli AAEECC sia
migliorativo rispetto a quello di cui all’art. 1751 c.c.; ma è
altrettanto certo che la cosa non vale per l’agente valido che ha
sensibilmente incrementato la clientela".
3) Altra sentenza da ricordare è quella del Pretore di Forlì
del 17.2.1997.
Egli ha ritenuto di dover applicare l’art. 1751 c.c., in primis, "...
perchè il Giudice non può esimersi dall’applicare la legge" , per
secondo, perchè qualora "dovesse risultare più favorevole alla
fattispecie concreta il disposto degli AAEECC, nessun elemento contrario
si troverebbe nell’art. 1751 c.c. per l’applicazione di diverso metodo
per calcolare le indennità, poichè il divieto di deroga ex ultimo comma
dell’art 1751 c.c. è previsto solo a sfavore dell’agente e non a suo
favore".
Per terzo ed ultimo punto, il Pretore di Forlì ha sostenuto che se si
escludesse l’applicabilità dell’art. 1751 c.c. "si arriverebbe
all’assurdo che nel caso di soggetti non iscritti alle associazioni
firmatarie degli AAEECC del 1992, e quindi non tenuti ad applicare tali
disposizioni, nulla sarebbe dovuto al termine del rapporto di agenzia
neppure in caso di riferibilità della conclusione del contratto alla
casa mandante e con incrementi di clientela e di fatturato grazie
all’attività dell’agente".
Il Giudice, nella motivazione della sentenza, arriva persino ad indicare
un criterio di calcolo dell’indennità per la cessazione del rapporto:
egli ha applicato il criterio massimo di determinazione consentito dalla
norma (una annualità di provvigioni, calcolata sulla media delle
retribuzioni pagate negli ultimi 5 anni) basando tale quantificazione
sul fatto che i risultati raggiunti dall’agente erano stati ottimi e che
la misura provvigionale pattuita era di gran lunga superiore a quella
abitualmente riconosciuta agli agenti operanti in quel settore
commerciale (nella specie la misura provvigionale era pari al 15% ed il
settore di competenza dell’agente era quello dell’abbigliamento,
elemento che aveva dimostrato che la preponente necessitava di tutto
l’impegno degli agenti per competere sul mercato con altre importanti
ditte).
4) Il Tribunale di Milano, con sentenza del 19.7.1999,
afferma "la prevalenza della disciplina dell’art. 1751 c.c., rispetto
al trattamento previsto dalla contrattazione collettiva, nel caso in cui
l’agente ne abbia fatto richiesta" e sussistano le condizioni
contemplate nella disposizione codicistica, in forza della sua
inderogabilità a svantaggio dell’agente medesimo.
Deve prevalere l’art. 1751 c.c. sulla contrattazione collettiva "...
ogni qualvolta esso consenta un trattamento in astratto ed in concreto
più favorevole all’agente".
5) Il Tribunale di Rimini, con la recentissima sentenza
del 29.1.2000, anche in virtù della citata pronuncia della
Cassazione (sent. 5795/94), definisce "irrilevanti" le
disposizioni degli AAEECC, dirette esclusivamente ad assicurare
incondizionatamente "poco a tutti".
Anche per il Tribunale di Rimini è necessario valutare, di volta in
volta, ogni singolo rapporto di agenzia e verificare, con riferimento
alla quantificazione degli indennizzi, quale sia il sistema di maggiore
convenienza da applicare.
6) Sentenze conformi: Pretura Piacenza 7.1.97, Pretura Milano
7.1.1997, Pretura Torino 19.3.1996, Pretura Reggio Emilia 5.1.1996,
Pretura Roma 6.12.1997, Pretura Treviso 10.11.1997.
* * * * *
Concludendo, v’è da rilevare in ordine al grave contrasto tra la norma
codicistica e le norme collettive che la giurisprudenza ha oramai
assunto questa posizione: solo valutando il singolo caso concreto, ai
fini del calcolo delle indennità di fine rapporto, e dunque in base al
maggior vantaggio economico che ne ricava l’agente, è possibile
applicare o l’art. 1751 c.c. o le disposizione degli AAEECC .
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
B) Indennità sostitutiva del preavviso.
Discorso del tutto diverso è quello relativo all’indennità sostitutiva
del preavviso.
Ed infatti, per prima cosa, v’è da dire che il nuovo art. 1750 c.c. non
prevede alcuna indennità sostitutiva.
Questo istituto è disciplinato unicamente dai contratti collettivi.
Pertanto, in caso di mancata concessione del periodo di preavviso,
all’agente non spetterà alcun indennizzo sostitutivo bensì il
risarcimento del danno per inadempienza contrattuale.
Gli AAEECC del 1988, in tema di preavviso, sembrano essere in generale
più favorevoli per l’agente.
Essi troveranno applicazione solo se richiamati dal contratto di agenzia
o se le parti appartengono ad associazioni che hanno sottoscritto gli
AAEECC.
Avv. Lorenzo Bianchi
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