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TARGET DI VENDITA

di Lorenzo Bianchi

Sono ormai rari i contratti di agenzia che non prevedono, a carico dell’agente, un target di vendita.

Per i pochi che non lo sapessero, spiego che il target (o budget o obiettivo di vendita) consiste solitamente in un numero minimo di vendite che l’agente è tenuto a procurare in un determinato periodo di tempo indicato dalla casa mandante (ad esempio, un anno o un semestre). In caso di mancato raggiungimento del target, il preponente si ritiene libero di sciogliere il contratto di agenzia, senza preavviso, per fatto e colpa dell’agente (con l’ovvia conseguente perdita delle indennità di fine rapporto e magari con diritto della ditta mandante al risarcimento del danno).

Da qui la nota antipatia della categoria verso la figura in esame.

In primis, è bene ricordare che il target non può essere imposto: l’agente è dunque libero di non accettare la relativa clausola proposta dalla mandante.

Molto spesso invece – per la nota disparità di forza contrattuale - non è possibile “rifiutare” l’invito del preponente alla sottoscrizione del budget.

In questi casi, pertanto, sarebbe opportuno far osservare alle mandanti quanto segue.

L’art. 1742 c.c. ci dice che è agente di commercio il soggetto che assume l’incarico di promuovere la conclusione di contratti. Stessa definizione è riportata negli Accordi Economici Collettivi (v. art. 1 AEC 26.2.2002 o AEC 20.3.2002). Nei detti Accordi è inoltre riportata la definizione del rappresentante di commercio, secondo la quale appartiene a tale categoria il soggetto incaricato di concludere contratti in nome della ditta mandante.

Qualora i concetti non fossero chiari, spiego nuovamente che: 1) l’agente deve promuovere gli affari (ossia deve procurare al preponente gli ordini che poi saranno da quest’ultimo accettati o rifiutati; da qui la famosa e onnipresente clausola “salvo approvazione della ditta”); 2) il rappresentante deve concludere la vendita (avendo il  potere di definire il contratto con il cliente senza che sia necessario l’intervento della casa mandante).

Sulla base di quanto appena esposto, invito il lettore a svolgere la seguente riflessione: com’è possibile obbligare l’agente ad un limite minimo di vendite dal momento che egli non ha alcun potere di concludere le vendite ma solo quello di procurare ordini (o proposte di contratto) ?

Semmai, sarà possibile vincolare l’agente di commercio ad un limite minimo di ordini (che sia, ovviamente, ragionevolmente raggiungibile, anche in base alla situazione del mercato e alla tipologia del prodotto), ma non ad un obiettivo di vendita.

Il discorso è conseguentemente diverso per il rappresentante di commercio, il quale – avendo il potere di concludere i contratti con i clienti – può naturalmente subire l’odioso target che comunque, a mio modesto parere, costituisce un inelegante mezzo per dubitare delle capacità professionali del venditore.

 

 

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